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Trento, 17 giugno 2009
Restituite l’aula 5 a Rostagno
di Marco Boato
da l’Adige di mercoledì 17 giugno 2009

Mauro Rostagno ha cominciato a ricevere giustizia soltanto a 21 anni dal suo omicidio per mano di mafia, avvenuto il 26 settembre 1988, mentre rientrava nella comunità «Saman» dopo aver realizzato il suo ultimo servizio televisivo a Rtc, una emittente locale di Trapani. Finalmente il boss mafioso di Trapani Vincenzo Virga e il killer professionale (autore di altri quattro omicidi di mafia) Vito Mazzara (già pluricondannati e detenuti, rispettivamente a Parma e Biella) hanno ricevuto un ordine di custodia cautelare per l’omicidio di Mauro Rostagno, individuati il primo come mandante e il secondo come esecutore (ma del «gruppo di fuoco» assassino facevano parte almeno altri due mafiosi, ancora non individuati).

L’ordine di custodia cautelare è stato emesso sabato 23 maggio 2009. (...) Che si fosse trattato di un omicidio di mafia, l’avevano già confessato alcuni «pentiti», tra i quali Vincenzo Sinacori e Antonio Patti.

Sinacori aveva assistito a Castelvetrano ad un incontro tra i boss mafiosi Francesco Messina Denaro e Francesco Messina (entrambi poi deceduti), nel corso del quale veniva dato ordine alla mafia trapanese di Vincenzo Virga di far tacere per sempre la voce libera e coraggiosa di Mauro Rostagno. Del resto, già qualche tempo prima, mentre Rostagno seguiva il processo al vecchio boss Mariano Agate, quest’ultimo aveva inviato a Mauro un vero e proprio «avvertimento» mafioso, dicendo a un cameraman: «Dì a quello con la barba che non dica minchiate». Un altro «pentito», Giovanni Brusca, ha riferito di aver ascoltato da parte del boss Totò Riina parole di soddisfazione per l’omicidio di Rostagno («Si levarono sta camurria»).

Con assoluta semplicità e immediatezza i magistrati hanno scritto: «Muovendo forti ed esplicite accuse nei confronti di esponenti di Cosa Nostra e richiamando in termini di speciale vigore l’attenzione dell’opinione pubblica, Rostagno aveva toccato diversi "uomini d’onore" e generato un risentimento diffuso nell’ambito del contesto criminale in argomento».

Dunque, ci sono voluti 21 anni per arrivare finalmente a individuare la matrice mafiosa dell’omicidio di Mauro Rostagno. E di ciò va comunque dato grande merito ai magistrati e alla polizia giudiziaria, che hanno indagato negli ultimi due anni e che sono arrivati a questa conclusione, la quale ora dovrà ovviamente essere sottoposta al vaglio processuale (ma con un quadro probatorio assai rigoroso e con una perizia balistica inoppugnabile).

Ma nei due decenni precedenti era davvero successo di tutto per impedire l’accertamento della verità e per depistare le indagini (come era già accaduto per l’omicidio di Peppino Impastato, assassinato il 9 maggio 1978, dieci anni prima di Mauro). Soltanto la tenacia e la determinazione di Maddalena Rostagno e degli antichi e nuovi amici di Mauro, che si erano rivolti (con un documento sottoscritto da diecimila firme) anche al Presidente della Repubblica, chiedendo di non archiviare le indagini con un nulla di fatto, hanno permesso di arrivare a questo esito, commentato ora con queste icastiche parole: «Cancellati decenni di depistaggi, inerzie e cialtronerie varie».

Che si fosse trattato di un omicidio di mafia era stato, infatti, evidente fin dall’inizio. Io stesso l’avevo proclamato ad alta voce di fronte a migliaia di cittadini nell’orazione funebre che avevo tenuto durante la manifestazione civile di fronte alla bara di Mauro, dopo il funerale religioso nella cattedrale di Trapani, nel corso del quale mons. Agostino Adragna aveva anch’egli con forza denunciato la matrice mafiosa, in una appassionata e memorabile omelia. E la stessa convinzione aveva avuto fin dall’inizio anche il vicequestore della Polizia di Stato Rino Germanà, che poi nel 1992 scampò a sua volta a un tentato omicidio di mafia e dovette lasciare la Sicilia. Ma purtroppo in direzione opposta erano andati i carabinieri del maggiore Nazareno Montanti e del capitano Elio Dell’Anna e successivamente il Pm di Trapani Gianfranco Garofalo, che arrivò nel 1996 persino a far incarcerare la compagna di Mauro, Chicca Roveri, accusandola in modo totalmente  pretestuoso di essere complice degli assassini.

Cercando prima di attribuire l’omicidio di Rostagno ai suoi ex-compagni di Lotta Continua e poi di infangare, fino ad arrestarla, la compagna di Mauro, era come se si tentasse di uccidere Rostagno per la seconda volta. Se ne negava l’identità umana e politica, cancellando la causa reale ed evidente del suo sacrificio: il suo impegno militante a Rtc nella denuncia quotidiana della mafia e delle connivenze politico-mafiose (che l’avevano condotto anche ad un rapporto diretto col magistrato Giovanni Falcone).

Provate ad immaginare quale «via crucis» abbiano attraversato sia Chicca Roveri, sia la loro figlia Maddalena Rostagno, che aveva 15 anni quando suo padre è stato assassinato e che non ha mai abbandonato la lotta per ottenere verità e giustizia (...).
Già un anno fa, dunque, avevano cominciato a delinearsi i contorni di quella indagine, che ora ha condotto a questa prima, fondamentale tappa giudiziaria. (...)

Appare oggi tanto più discutibile e amara la scelta fatta nella Facoltà di Sociologia di revocare l’intestazione a Mauro Rostagno dell’Aula 5, che dal l968 al 1976 era stata la sede del Movimento studentesco, ottenuta, proprio dopo la lunga occupazione della primavera ’68, dal Comitato ordinatore formato da Marcello Boldrini, Norberto Bobbio e Nino Andreatta. Nel febbraio 1988 in quell’aula si era svolto l’incontro dedicato al ventennale del ’68 («Bentornata utopia»), nel corso del quale Rostagno era venuto per l’ultima volta a Trento, ritrovando i suoi antichi compagni ancora carico di carisma, entusiasmo, umanità e impegno civile.

Dopo il suo omicidio, avvenuto a pochi mesi di distanza il 26 settembre 1988, l’Aula 5 era stata dunque a lui dedicata con una targa apposta all’ingresso. Ma dopo le vicende giudiziarie del 1996, con un vero e proprio colpo di mano per l’Aula 5 fu revocata la dedicazione a Mauro Rostagno e fu intitolata invece a Bruno Kessler. Di Kessler, fondatore dell’Università, i meriti storici sono indubbi: a lui oggi è intestata la Fondazione che è succeduta all’Itc e a lui avrebbe potuto essere intitolata l’intera Facoltà di Sociologia, come personalmente ho più volte proposto. È stato invece un atto meschino e umiliante sostituire il nome di Rostagno con quello di Kessler, sull’onda del disorientamento provocato dal depistaggio giudiziario nell’inchiesta sull’omicidio di Mauro.

Ora che la verità giudiziaria torna finalmente a coincidere con la verità storica, sarebbe un atto, pur tardivo, di giustizia restituire quell’Aula 5 alla memoria di Mauro Rostagno, che nella Facoltà di Sociologia e nella città di Trento è stato protagonista di uno dei momenti epocali di più straordinaria e tumultuosa trasformazione, lasciando un segno profondo nella storia di questa terra, come poi ha lasciato un segno altrettanto profondo nella Sicilia degli anni ’80 (e già prima negli anni ’70), fino alla sua morte.

Marco Boato
Già deputato e senatore della Repubblica e leader del movimento studentesco.

 

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